
Ultimamente si è molto sentito parlare di questa malattia che colpisce i bambini, soprattutto quelli al di sotto dei 5 anni.
L’ipotesi è che le ultime insorgenze della sindrome di Kawasaki siano collegate alla presenza del virus Sars-Cov-2, ma i dati non sono ancora sufficienti per poter stabilire un reale legame tra i due.
Attualmente la comunità medico scientifica di tutta Europa sta studiando i casi, cercando di far chiarezza sugli avvenimenti.
Nell’attesa di dati più certi cerchiamo però di capire cosa è e come questa malattia si manifesta.
Cosa è la sindrome di Kawasaki
Si tratta di una vasculite che colpisce le arterie di piccola e media dimensione, ma soprattutto le arterie coronarie nei bambini in età pediatrica ( tra uno e otto anni).
I sintomi sono febbre alta, congiuntivite, esantema e linfoadenopatia, e come già detto colpisce prevalentemente i bambini al di sotto dei 5 anni di età, con un picco di casi intorno al secondo anno.
La febbre caratterizzante tale malattia perdura per 4-7 giorni, ed è resistente ad antibiotici ed antipiretici di qualunque tipo.
Può anche presentarsi con rossori cutanei simili a quelli provocati dal morbillo e dall’orticaria: sono spesso queste manifestazioni cliniche a rendere la malattia subdola, e di conseguenza rallentare la corretta diagnosi.
L’eziologia non è del tutto chiara, ma si presuppone sia tossinfettiva ed immunomediata, e che coinvolga superantigeni spretococcici per poi attivare la risposta linfocitaria.
Per validare la diagnosi devono essere presenti almeno 5 dei seguenti sintomi:
– edema
– febbre alta
– lesioni buccali
– iperemia congiuntivale
– rash
– linfoadenomegalia
Nel 90-95% dei casi si ha guarigione spontanea e senza complicazioni, ma il 5-10% si va incontro a gravi complicanze quali aneurismi coronarici del ramo discendente anteriore dell’arteria coronaria sinistra, talvolta anche associata a miocardite acuta con insufficienza cardiaca, che nell’1% dei malati gravi porta all’infarto.
La cura consiste nella somministrazione in un unico ciclo di immunoglobuline per endovena e aspirina.
Questa terapia riduce l’insorgenza di lesione coronariche a meno del 5%, rendendolo il trattamento d’elezione.
La possibile correlazione con il Covid-19
L’allarme è stato lanciato da pediatri di molte zone d’Europa, dopo che il 21 marzo scorso il dottor Matteo Ciuffreda ha diagnosticato per la prima volta la sindrome di Kawasaki ad un bambino presentatosi al pronto soccorso dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo.
Dalla prima segnalazione i casi sono diventati 20, e passando da Genova, alla Spagna e al Portogallo, si è visto che i casi registrati in un mese era al pari di quelli segnalati nei tre anni precedenti.
Il monitoraggio è sotto l’attenzione del presidente della Società Italiana di Pediatria, Alberto Villani, che da qualche settimana raccoglie i dati che dimostrano l’insorgenza della malattia di Kawasaki in alcune aree specifiche, quali Lombardia, Piemonte e Liguria.
Ma la città più colpita è Bergamo, con 20 casi nell’ultimo mese, tutti di bambini negativi al tampone per SARS-CoV-2, ma provenienti da famiglie con malati di Covid-19.
Dalla Gran Bretagna è invece il dottor Stephen Powis che allerta la comunità scientifica dell’aumento dei casi di sindrome di Kawasaki, ma dal Regno Unito non arrivano numeri certi, e Powis stesso sostiene che gli studi siano troppo pochi per poter pensare ad una simile correlazione con il Covid-19.
Ad oggi, in Italia, si vede che solo l’1% dei bambini affetti da Covid-19 sviluppa in seguito anche la malattia di Kawasaki (tutti con decorso positivo grazie ai tempestivi trattamenti farmacologici), ma gli esperti consigliano comunque una particolare attenzione, specialmente dati gli allentamenti alle restrizioni subentrati con la Fase 2.
Le evidenze scientifiche
Come già detto, gli studi scientifici e i dati a disposizione non sono sufficienti per poter stabilire con certezza che il Covid-19 possa, nei bambini, portare allo sviluppo della sindrome di Kawasaki.
L’unico studio pubblicato risale al 2004, ed è stato svolto dal professor Jan Jones, docente di virologia dell’Università di Reading, in Gran Bretagna, che evidenziò come la sindrome di Kawasaki fosse collegata ad un altro coronavirus, noto con la sigla NL63 che utilizza, per attaccare l’uomo, lo stesso recettore del nuovo coronavirus.
FONTI
https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/problemi-di-salute-dei-bambini/vari-disturbi-nei-lattanti-e-nei-bambini-piccoli/sindrome-di-kawasaki
https://it.reuters.com/article/topNews/idITKCN22A0PB