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Gli acidi grassi della serie Omega 3: razionali di impiego scientifico

Le prime evidenze sull’impiego degli omega 3 furono fatte osservando le popolazioni nordiche: queste persone, infatti, mostravano un’incidenza di molto inferiore rispetto al resto della popolazione europea riguardo ad eventi cardiovascolari e a malattie cardiache, nonostante si nutrissero prevalentemente di pesci molto grassi (e tendenzialmente crudi).

Erano gli albori dell’integrazione degli omega 3 come molecole funzionali in grado di influenzare positivamente la salute dell’individuo. Da qui si svilupparono i primi studi epidemiologici e le prime ricerche sulle proprietà della serie omega.

Struttura e proprietà chimiche della serie Omega

Gli acidi grassi della serie omega sono acidi grassi monocarbossilici lineari con lunghezza variabile: quelli saturi non hanno doppi legami carbonio-carbonio mentre gli insaturi possiedono doppi legami. La posizione del primo doppio legame negli insaturi, partendo a contare dal carbonio terminale o carbonio ω, dà il nome al composto: ad esempio, gli Omega-3 sono costituiti dalla prima insaturazione in posizione 3 rispetto al carbonio terminale. Con questa tecnica si possono quindi distinguere e nominare gli Omega 3, 6 o 9.

Gli Omega-3 e gli Omega-6 non possono essere prodotti in autonomia dall’organismo ma derivano dalla trasformazione di nutrienti essenziali: si verificano cioè delle reazioni biochimiche a partire dall’acido linoleico (LA), capostipite della serie Omega-6, e dall’acido alfa-linolenico (ALA), capostipite degli Omega-3, entrambi di origine alimentare. LA e ALA vengono processati dagli enzimi elongasi e desaturasi che effettuano un’addizione di doppi legami e un allungamento della catena carboniosa: da qui si ottengono tutti i grassi delle serie Omega 3 (tra cui EPA e DHA) e Omega 6.

Rapporti Omega 6/Omega 3 e origini dell’infiammazione

Il rapporto ottimale omega-6/omega-3 dovrebbe aggirarsi intorno a 5-6:1. L’alimentazione ricca in omega-6 ha spostato questo rapporto ottimale a circa 20:1, incrementando in maniera esponenziale la produzione di citochine proinfiammatorie e prostaglandine, oltre che incentivare l’insorgenza di patologie cardiovascolari e autoimmuni.

Le fonti principali

Gli omega-3 possono essere estratti dagli olii contenuti nei pesci che vivono in acque salate e fredde (come i salmoni), fonte principale di EPA e DHA a livello alimentare; il DHA è presente anche in alcune alghe.

Omega 3, 6 e 9 sono parecchio concentrati anche nell’olio di semi di lino. Il GLA invece deriva prevalentemente dall’olio di Oenothera (primula), ribes nero e borragine e può essere convertito in PGE1 con attività antiinfiammatoria.

Sintesi degli acidi grassi a partire dal cibo

La biosintesi di EPA e DHA parte ovviamente dall’alimentazione: i precursori ALA e LA sono contenuti in quantità molto importante in alimenti come i semi di lino (e gli olii di semi in generale).

Gli acidi grassi introdotti nell’alimentazione in quanto tali hanno la sola funzione di produrre energia: per ogni grammo di acido grasso, infatti, vengono prodotte circa 9 kcal (attraverso la β-ossidazione nei mitocondri). La loro trasformazione biochimica rende giustizia della loro funzione fisiologica: ALA viene infatti convertito prima in EPA e poi in DHA, mentre LA diventa DGLA e da qui può essere trasformato in PGE1 o AA. Gli enzimi coinvolti in questi meccanismi sono la delta-6-desaturasi e la delta-5- desaturasi.

L’enzima delta-6-desaturasi, responsabile della prima trasformazione di ALA ed LA, può andare incontro ad una diminuzione della sua attività catalitica per diversi motivi: fumo, invecchiamento, dieta ipoproteica, iperglicemia ed utilizzo di molti tipi diversi di farmaco. In questi casi è utile quindi la supplementazione di omega 3 esogeni.

Funzioni degli acidi grassi Omega e gli eicosanoidi

Gli omega possono vantare diverse funzioni: costituiscono e rinforzano le membrane cellulari; modulano l’infiammazione partecipando alla formazione degli eicosanoidi; rientrano nella regolazione della pressione sanguigna, della colesterolemia e della trigliceridemia; sono protettivi dell’apparato cardiovascolare; proteggono dalla neurodegenerazione; supportano la funzionalità cognitiva; garantiscono il mantenimento della funzionalità visiva; agiscono positivamente sull’accrescimento del feto, migliorando l’irrorazione placentare.

Gli omega sono precursori degli eicosanoidi, molecole simil-ormonali che possono modulare le risposte endocrine. Tra gli eicosanoidi si ricordano i leucotrieni, le prostaglandine e i trombossani.
Gli omega 6 producono acido arachidonico come eicosanoide principale, il quale produce infiammazione, reazioni allergiche, vasospasmo ecc..
EPA e DHA della serie omega 3 invece sono in grado di controllare l’infiammazione e di contrapporsi all’acido arachidonico come funzionalità.
Le quantità di eicosanoidi dell’una o dell’altra serie omega dipendono dal tipo di alimentazione (ed integrazione) seguita. L’insulina è uno di quegli ormoni che incrementa la produzione di eicosanoidi da omega-6 e che quindi favorisce l’infiammazione. Il controllo dei picchi insulinici quindi regola i fenomeni infiammatori.

Dosi raccomandate

Come già detto, è possibile assumere la giusta quantità di grassi della serie omega mangiando pesce (tipo salmone, almeno due volte alla settimana) o utilizzando grassi vegetali (soia, lino ecc…).

Per i cardiopatici e i pazienti con elevato rischio cardiovascolare, la quantità di omega raccomandata è di 1 grammo al giorno in EPA e DHA. L’EFSA ha comunque affermato che la quantità adeguata di acidi grassi a lunga catena EPA e DHA sia da attestarsi intorno ai 250 mg nella prevenzione cardiovascolare.

I bambini fino al 24° mese di vita dovrebbero assumere almeno 100 mg al giorno di DHA, mentre le mamme in gravidanza e allattamento almeno 200 mg.

Le dosi sopra elencate sono da intendersi come peso totale di EPA+DHA (considerando poi che un nutraceutico di buona qualità contiene EPA e DHA in quantità pari almeno al 50% del peso della singola perla).

Meccanismo d’azione degli Omega 3

La funzione biologica degli omega (visto che vengono generalmente estratti da pesci che vivono in acque estremamente fredde) è quella di mantenere una certa fluidità di membrana a livello cellulare ed impedire il congelamento dovuto alla rigidità delle temperature.

È stato verificato l’effetto positivo degli omega su diverse funzioni fisiologiche: aggregazione piastrinica, metabolismo degli eicosanoidi, stabilizzazione delle lesioni ateromasiche, antiproaritmici.

A livello del profilo lipidico, gli omega sembrano avere una spiccata azione ipotrigliceridemizzante con concomitante riduzione delle proteine VLDL epatiche e leggero aumento delle LDL (se vengono assunti in dose di almeno 2 g/die). Una diminuita sintesi endogena e modifica della composizione dei fosfolipidi di membrana stanno alla base della diminuzione dei trigliceridi circolanti. L’effetto sulle LDL è dovuto invece ad un aumento del loro diametro con la conseguente diminuzione dell’aterogenicità.

Per quanto riguarda l’attività sull’infiammazione bisognerebbe assumere tra 1,4 e 3,3 grammi di omega per ottenere una riduzione significativa della proteina C reattiva, di IL-6 e di altre molecole coinvolte nella genesi dei processi infiammatori. A questo proposito, l’attività protettiva nei confronti di danni cardiovascolari è attribuibile al meccanismo d’azione anti-infiammatorio.

FONTI

Cicero A. (a cura di), “Trattato italiano di nutraceutica clinica”, Ed. Scripta Manent, 2017

Cicero A. et al., “Application of polyunsaturated fatty acids in internal medicine: beyond
the established cardiovascular effects”, Arch Med Sci, 2012

A cura del Dott. Davide Forlani

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