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COVID-19: approcci terapeutici e nuovi orizzonti (Parte 2)

Dopo la prima parte sugli approcci terapeutici per il COVID-19, continuiamo a scoprire altri due farmaci che più recentemente sono risultati efficaci nel trattamento del COVID-19: Molnupiravir e Paxlovid. Entrambi sono candidati per i quali gli studi clinici sono ancora in corso e quindi non sono ancora stati approvati per l’utilizzo in clinica; tuttavia, i risultati venuti fuori fanno ben sperare.

 

  • Molnupiravir: prodotto dall’azienda MSD (Merck), è un antivirale che interferisce con i processi di replicazione del virus SARS-CoV-2 all’interno della cellula umana, in particolare sembra avere elevata affinità per la polimerasi, enzima che ha un ruolo nella trascrizione del materiale genetico virale: l’inibizione di questo enzima determina blocco della replicazione virale per errori durante la trascrizione del materiale.

Lo studio di fase 3 randomizzato che mostra l’efficacia dell’utilizzo di questo antivirale nel trattamento di soggetti con forme lievi o moderate di COVID-19 e con almeno un fattore di rischio di esito sfavorevole della malattia è stato condotto in doppio cieco e in più centri, ha visto arruolare 775 soggetti, metà dei quali trattati con Molnupiravir e l’altra metà con placebo (gruppo di controllo). Somministrando il farmaco oralmente due volte al giorno per cinque giorni, è stato possibile osservare la capacità di ridurre il rischio di ospedalizzazione e/o morte in tutti i sottogruppi di pazienti (7,3% trattati contro 14,1% gruppo di controllo); inoltre sembra essere efficacie anche contro le varianti Gamma, Mu e Delta del virus.

 

  • Paxlovid: prodotto dall’industria farmaceutica Pfizer, è uno dei farmaci somministrati in una nuova terapia antivirale sperimentale, anche questa avente lo scopo di inibire la replicazione del SARS-CoV-2. La terapia prevede l’associazione di Paxlovid con il più basso dosaggio di Ritonavir, un inibitore delle proteasi, il quale non solo partecipa al blocco della replicazione virale, ma determina anche un rallentamento del metabolismo e della degradazione del nuovo antivirale, garantendo così che sia attivo nell’organismo per periodi più lunghi e a concentrazioni più elevate.

Lo studio di fase 2/3 randomizzato in doppio cieco che ha visto impiegare questo antivirale ha dimostrato la sua efficacia nel trattamento di soggetti adulti affetti da COVID-19 e non ospedalizzati ad alto rischio di progressione verso una forma grave della malattia. Lo studio è stato condotto su 2246 volontari non vaccinati e con fattori di rischio per un peggioramento della malattia, metà trattati con l’antivirale (somministrato ogni 12 ore per cinque giorni) e metà trattati con placebo. La riduzione del rischio di ricovero e morte è del 89% se il farmaco viene assunto entro tre giorni dall’esposizione al SARS-CoV-2 e dell’88% se la somministrazione avviene entro cinque giorni; questa terapia è stata pensata infatti per agire ai primi segni di infezione o dopo la sola esposizione al SARS-CoV-2.

 

Importante è sottolineare come con queste “pillole anti-COVID” le industrie farmaceutiche produttrici stiano cercando di aumentare l’aderenza alla terapia: sono infatti tra i primi farmaci pensati interamente per la somministrazione orale, la più semplice e gradita dal paziente.

 

FONTI

Dott.ssa Chiara Sciaudone

Farmacista di professione, ma con una profonda passione per la divulgazione scientifica.

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