fbpx

L’ABBADIA DI FIASTRA E LA TRADIZIONE DEL VINO COTTO

LA STORIA

È nel cuore delle Marche, tra i comuni di Tolentino ed Urbisaglia, in provincia di Macerata, che si adagia, in un clima di silenziosa spiritualità, l’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra. Circondata da 1825 ettari di terreno che, dal 1985 costituiscono la Riserva Naturale di Fiastra, l’Abbazia fu fondata nel 1142 da un gruppo di monaci cistercensi provenienti dall’Abbazia di Chiaravalle di Milano, ai quali, il Duca di Spoleto, Guarniero II, donò un ampio territorio compreso tra il fiume Chienti e il Fiastra. I monaci adoperarono per la costruzione il materiale proveniente dai resti della vicina città romana Urbs Salvia, distrutta nel 409, bonificarono le aree paludose ed organizzarono delle “aziende” agricole ed artigiane che, in circa tre secoli, permisero all’Abbazia di raggiungere il suo massimo splendore religioso ed economico e di divenire una delle più importanti in Italia.

Nel 1422, l’Abbazia subì un saccheggio da parte di Braccio da Montone, Signore di Perugia. Durante il saccheggio fu distrutta in parte la chiesa e furono uccisi diversi religiosi. L’Abbazia fu affidata ai cardinali commendatari nel 1455 e, nel 1581, alla Compagnia di Gesù, che costruì i magazzini, le case coloniche e le stalle. I Gesuiti, nel 1613, per volere del Papa Urbano VIII, lasciarono l’Abbazia che, nel 1773 fu ceduta alla famiglia Bandini, la quale fece edificare un palazzo sul lato sud del monastero. Dal momento che, l’ultimo erede della famiglia Bandini morì a soli 32 anni, l’Abbazia passò per testamento alla Fondazione Giustiniani-Bandini. Solo dal 1985 al 2018, una piccola comunità di monaci cistercensi abitò nuovamente l’Abbazia.

COSA VEDERE

Raggiungendo l’Abbazia si respira nell’aria l’impegno dei monaci, ispirati dalla regola benedettina “ora et labora”, regola che, in diversi secoli, ha creato un patrimonio di inestimabile bellezza: ampio, maestoso e austero, un connubio di sapienza architettonica e salvaguardia della natura, una fusione di terra e anima. Il complesso è formato da:

  • La Chiesa, dedicata alla Vergine Maria, con pianta a croce latina, tre navate coperte da volte a crociera con capitelli decorati con soggetti floreali e agresti oltre che a stemmi del Duca di Spoleto e dell’Abbazia di Chiaravalle di Milano;
  • Il Chiostro, di forma quadrata, che collega tutti gli ambienti del complesso monastico. Lungo il perimetro del chiostro sono presenti oggi, piante officinali, adoperate fin dall’antichità ai fini curativi o culinari come:

Menta Piperita impiegata in ricette dolci e salate e dalle proprietà cicatrizzanti, disinfettanti e digestive;

Rosmarino con azione tonica e antisettica;

Salvia Officinalis con azione estrogenica, quindi adoperata nella sindrome pre-mestruale e nella menopausa;

Lavanda, i cui fiori sono usati in cucina per aromatizzare lo zucchero o per preparare dolci e biscotti; in infusione esplicano proprietà calmanti;

Elicriso con proprietà antinfiammatorie, antifungine, astringenti e calmanti;

Thymus Vulgaris utile nelle affezioni respiratorie e in problemi digestivi.

Al centro del chiostro c’è un pozzo ottagonale di pietra e mattoni, che era usato per attingere acqua dalla cisterna sottostante;

  • Il Refettorio dei Conversi: situato sul lato ovest del complesso monastico, presenta sette colonne centrali con capitelli, fusti e altro materiale proveniente dalla vicina Urbisaglia. I Conversi erano dei religiosi laici che avevano pronunciato i voti, ma che si occupavano soprattutto del lavoro manuale (bonifica delle paludi, coltivazione dei campi, allevamento dei bovini);
  • Il Cellarium usato dai Conversi come deposito;
  • Il Palazzo Giustiniani-Bandini: costruito all’inizio del XIX secolo, presenta diverse stanze affrescate. Durante la seconda guerra mondiale ospitò prigionieri politici e ebrei. Il palazzo vanta anche la presenza di un giardino all’inglese, all’interno del quale svetta un bellissimo esemplare di quercia da sughero;
  • La Sala del Capitolo sul lato est del complesso monastico accoglieva tutte le mattine i monaci, i quali leggevano un capitolo della regola di San benedetto;
  • Le grotte, una serie di corridoi che si insinuano sotto la Chiesa fino ad una profondità di quasi sei metri, usate non solo come eventuale via di fuga, ma, per la presenza di nicchie e grazie alla bassa temperatura, per la conservazione del vino e dei viveri;
  • Le cantine: edificate nel VII secolo dai Gesuiti, servivano per la lavorazione dell’uva proveniente dai vigneti di proprietà dell’Abbazia. Oggi le cantine ospitano il Museo del Vino, nel quale sono esposti gli strumenti usati per la lavorazione dell’uva e la caldaia per il vino cotto, costruita al lato di un piccolo chiostro, dai monaci cistercensi;
  • La sala delle oliere: una stanza sotterranea nella quale si conservava l’olio prodotto dai monaci dell’Abbazia. Con aperture superiori per garantire l’areazione e la luce e con il pavimento inclinato per favorire la pulizia del locale. Oggi, la sala delle oliere è stata adibita a Museo Archeologico per conservare i reperti rinvenuti da Urbs Salvia.

L’ANTICA TRADIZIONE DEL VINO COTTO

La scomparsa dei monaci cistercensi dall’Abbazia non ha però cancellato il loro amore per la terra e per i frutti che essa ci dona da sempre. Le grotte, la sala delle oliere, le cantine e la caldaia, ne sono, infatti, una vivida testimonianza. E sono proprio la vite e la vigna, l’uva e il vino i protagonisti di una tradizione che ancora oggi si tramanda di generazione in generazione: IL VINO COTTO.

Utilizzato già dagli imperatori romani a fine pasto, è una bevanda alcolica antichissima dal colore rosso- rosso ambrato con riflessi giallo oro relativi al grado di cottura e all’invecchiamento. Corpo ricco e sapore che esalta note di caramello e un equilibrio perfetto fra acidità e dolcezza.

Il vino cotto si ottiene facendo bollire in una caldaia di rame, a fuoco lento e diretto, il mosto di uve bianche e/o rosse pigiate. Durante la lenta cottura, si esegue la schiumatura, che consiste nel togliere, con un colino a mano, le impurità salite in superficie durante la bollitura. Successivamente il vino cotto viene lasciato fermentare e riposare in botti di legno anche per anni. In particolare, si ottiene la SAPA quando la cottura viene prolungata per giornate intere ottenendo un succo molto concentrato.

Le proprietà del vino cotto sono molteplici.

In cucina, ad esempio, serve per preparare o decorare torte, intingere biscotti o polenta; può essere abbinato con formaggi stagionati o erborinati, può accompagnare i gelati alla crema o alla panna; è un ingrediente ottimo per un fresco sorbetto, se aggiunto alla neve fresca (come avveniva in passato), per una bevanda, se aggiunto all’acqua frizzante. Serve anche per “governare” i vini deboli, cioè conferire loro più colore o sapore.

Ha anche proprietà salutistiche. La sapa costituisce un ottimo integratore per l’elevato contenuto in minerali e può essere adoperata nei digiuni terapeutici o assunta a cucchiai per alleviare il mal di stomaco.  Sapa e camomilla per conciliare il sonno oppure sapa e menta piperita come impacco da cospargere sul viso per rendere la pelle morbida e luminosa.

Il vino cotto caldo e aromatizzato è un vecchio rimedio della nonna contro il raffreddore o i dolori muscolari.

La sua ricchezza in antiossidanti, confermata da uno studio condotto dal professor Dino Mastrocola della facoltà di Agraria dell’Università di Teramo, pubblicato su un importante rivista scientifica nordamericana, ne fa un prodotto agroalimentare tradizionale capace di combattere l’invecchiamento cellulare e prevenire le malattie cardiovascolari e tumorali. La caramellizzazione degli zuccheri e la cosiddetta “reazione di Maillard” che si sviluppano durante la fase di cottura del mosto, gli conferiscono un potere antiossidante superiore di due o tre volte a quello del vino bianco.

Vanta anche proprietà magiche! In passato si cospargeva sul corpo dei neonati affinché in età adulta fossero forti e robusti, o sul corpo dei defunti per allontanare spiriti maligni.

Considerato alla stregua di un elisir di forza e giovinezza, pregiata bevanda degli imperatori, il vino cotto si colloca tra storia, scienza e magia.

Il mio racconto per ora termina qui, all’ombra di quella quercia secolare, sorseggiando un bicchierino di vino cotto, con la mente che guarda al futuro portandosi dietro un bagaglio di conoscenze e tradizioni tramandateci nel tempo.

 

FONTI

  • abbadiafiastra.net
  • Manzocco L., Mastrocola D., Nicoli M. C.: Chain-breaking and oxygen scavenging properties of wine as affected by some technological procedures. Food Research International, 31, 9, 673-678 (1998)
Dott.ssa Morgana Pisano

Laureata in Farmacia, appassionata di divulgazione scientifica e scrittura di storia della scienza.

Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments