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Nuove tendenze: marketing olfattivo

È cento volte più probabile ricordare qualcosa che si è annusato, piuttosto che qualcosa che si è visto o toccato. Eppure, se qualcuno ci chiedesse quanto sia importante l’olfatto nelle nostre vite, probabilmente risponderemmo con convinzione che vista, udito, tatto e gusto sono molto più rilevanti. Se in un test ci ponessero la domanda “A quale dei cinque sensi saresti disposto a rinunciare per tutta la vita?”, in quanti risponderebbero vista? Sicuramente nessuno. Sfido poi chiunque a rinunciare al gusto e all’udito. Qualcuno probabilmente si priverebbe del tatto. La maggior parte delle persone, tuttavia, risponderebbe olfatto. Un senso così meraviglioso: basta un profumo ad evocare un ricordo, un soffio di vento che sa di rosa per avvertire la primavera, l’odore del mare o del sugo della domenica per sentirci a casa.

Ma quanto conta l’olfatto nelle nostre reazioni istintive?

Un semaforo rosso, un telefono che squilla, una pentola che scotta, un sapore acido o amaro ci fanno certamente prendere decisioni immediate. Vale lo stesso per gli odori? Un profumo di rosa o gelsomino difficilmente implica una reazione rapida ed istintiva, ma è così per qualsiasi profumo? Di primo acchito, potremmo pensare che gli odori non determinino reazioni istintive; e invece, chi non reagirebbe d’istinto ad una fuga di gas, all’odore di bruciato o al profumo di una pasticceria o di una panetteria lungo la strada? Ma, a parte quelli sopracitati, a quali odori abbiamo fatto attenzione nell’arco della giornata? Probabilmente dovremmo sforzarci per elencarli. Eppure, ancor prima del gusto, l’olfatto ci avvisa se un cibo è stantio o potenzialmente irritante. Abbiamo ben nitidi l’odore della macelleria, della pescheria, del formaggio o delle verdure gratinate; riconosceremmo ad occhi chiusi il profumo di salsedine o quello dell’erba appena tagliata.

Seguiamo, quindi, continuamente una scia olfattiva; o, per lo meno, il nostro inconscio la segue.

E se vi dicessi condizionamenti olfattivi? Ne avete mai sentito parlare?

I sensi, incluso l’olfatto, sono condizionati da apparenze e credenze. Qualche esempio? Un vino degustato in un bicchiere da acqua sembrerà meno gustoso rispetto a quando è bevuto in un bicchiere da vino. E per quanto riguarda gli odori? A dimostrazione di quanto l’olfatto sia parte integrante della nostra vita, vi propongo uno studio, condotto nel 1994, sul cattivo odore della metropolitana parigina. In tale occasione, vennero identificati, tra i tanti, due odori particolarmente fastidiosi: odore di urina ed esalazione di idrogeno solforato (uova marce), causato da batteri non patogeni. Ad ogni modo, anche eliminando questi odori, la metropolitana sapeva di ozono, causato dagli archi voltaici, più frequenti quando l’isolamento elettrico era meno efficiente; per di più, le ruote metalliche, nello sfregamento con gli scambi, producevano un odore acido, metallico. 

Attualmente, le ruote della metropolitana sono in gomma e l’isolamento elettrico è migliore; il naso dei passeggeri dovrebbe esserne ben felice e invece i pendolari rimpiangono quegli odori. La ragione? Semplice: la maggior parte dei viaggiatori ritiene quei cattivi odori più rassicuranti della quasi asetticità odierna. Si è però constato che il costante timore di essere aggrediti, a causa della promiscuità e della distanza ravvicinata delle persone, genera comunque inconsciamente un odore immaginario di disagio. Ogni identità olfattiva della metropolitana viene addirittura associata dal passeggero ad un senso di precarietà e potenziale pericolo.

Come tutto questo viene sfruttato dal marketing olfattivo?

Eccone qualche applicazione originale. La linea tranviaria French Tech, in collaborazione con la città metropolitana di Montpellier, ha presentato in conferenza stampa nel 2018 un progetto per profumare le vetture di quattro linee di tram. Ad ogni fermata, all’apertura delle porte, i passeggeri, anche ipovedenti o ciechi, avrebbero potuto riconoscere con facilità a quale delle quattro linee appartenesse la vettura di fronte a loro. 

Anche nel mondo dello spettacolo, il naso vuole la sua parte. Jovanotti, nel suo Tour del 1999-Capo Horn fece diffondere aroma di rosa mentre cantava “Un raggio di sole”, di arancio con “Dolce far niente”, di talco con “Per te”, di patchouli con “L’ombelico del mondo” e di cappuccino con “Gente della notte”. Il motivo? Si è visto che i profumi sono in grado di aumentare il coinvolgimento del pubblico e di incrementare il potere comunicativo della musica.

Altri campi più “tradizionali” nei quali il marketing olfattivo è ampliamente sfruttato? 

Il settore immobiliare: è ben noto, infatti, che far emanare profumo di vaniglia, di popcorn oppure di pasticceria fornisca la percezione di una casa accogliente, vissuta, custode di affetti e protettiva. Il vantaggio? L’abitazione acquisirà automaticamente un valore maggiore nell’opinione dell’acquirente. Lo stesso ragionamento vale per le auto nuove: odori di cuoio e legni aumentano la percezione del lusso.

Che cosa si intende per Olfactive Branding?

Si tratta di una strategia di branding che consiste nel creare profumi personalizzati per marchi e spazi. Il fine ultimo? Migliorare l’immagine stessa del brand. Le applicazioni più frequenti dell’Olfactive Branding, oltre a quelle di alberghi e resort per dare sensazioni di calda accoglienza e ricordi positivi, restano quelle del logo olfattivo e della personalizzazione dei punti vendita.

Nella pratica?

In un mondo che vede la crescita smodata dell’acquisto online, l’esperienza nel punto vendita deve essere talmente diversa da indurre il cliente a ricorrere all’e-commerce solo in casi particolari, per non perdere il valore aggiunto del servizio, dell’accoglienza e della competenza nel consigliare che solo il negozio fisico è in grado di offrire. L’ambiente, la temperatura, la musica, il personale e tanti altri parametri rendono la shopping experience unica, ma i profumi sono determinanti: gli odori sono, infatti, ciò che di più resta impresso nella memoria del consumatore.

Qual è, dunque, il superpotere degli odori? 

Basta fermarsi un attimo a pensare all’ultima esperienza d’acquisto dal vivo in un negozio monomarca: i profumi ci fanno entrare nel mondo del marchio, che è a sua volta rappresentato dal punto vendita, dai colori, dal design, dai suoni, dai materiali, dai sorrisi e dall’atteggiamento degli addetti alla vendita.

Per concludere

Riscontrare una coerenza immediata tra la prima impressione olfattiva ed i molteplici segnali visivi, tattili e sonori, caratterizzerà in positivo il nostro ingresso nel punto vendita in questione e ci farà sentire propensi a fermarci più a lungo. Al contrario, se gli odori percepiti e le impressioni colte inconsciamente non dovessero coincidere, saremo pervasi da una sensazione di disagio e tenderemo ad allontanarci in tempi brevi.

È sufficiente, dunque, acquistare una fragranza piacevole e diffonderla in negozio? Ovviamente no. L’olfatto deve, infatti, cooperare alla pari con gli altri sensi per comunicare aspettative e promesse di un luogo e, di conseguenza, del brand. 

È comunque opportuno sottolineare quanto la fragranza, pur avendo la stessa importanza e dignità delle altre forme espressive nel rappresentare qualcosa, abbia un’immediatezza comunicativa decisamente superiore, sia nella vita quotidiana che nell’Olfactive Branding o nella più alta creatività artistica.

Italo Calvino aveva ragione: “L’odore ti dice senza sbagli quel che ti serve di sapere; non ci sono parole, né notizie più precise di quelle che riceve il naso.”

E per dirla con un eufemismo: chi si occupa di marketing, Calvino l’ha letto!

FONTI

www.kosmeticanews.it

Dott.ssa Elena Pascucci

Laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche. Master di II livello in Scienza e tecnologia cosmetiche. Si occupa della stesura di articoli di dermocosmesi.

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Lidia
Lidia
28 Marzo 2021 15:32

Articolo interessante e molto ben scritto.
Grazie perché, oltre che formativo, è stato piacevole da leggere.