
Un “biosimilare” è un farmaco biologico simile per caratteristiche ad un altro originario precedentemente brevettato ed autorizzato per la commercializzazione da diversi anni (il cosiddetto “farmaco di riferimento”, “farmaco originatore” o anche “farmaco innovatore”).
La disponibilità di biosimilari efficaci, offre un potenziale vantaggio economico e contribuisce alla sostenibilità finanziaria dei sistemi sanitari favorendo l’accesso dei pazienti a nuovi piani terapeutici derivati dal progresso scientifico.
Ma cos’è un farmaco biologico?
Se da una parte ci sono i farmaci tradizionali costituiti da piccole molecole e prodotti tramite sintesi chimica, dall’altra si trovano quelli biologici ottenuti tramite procedimenti operanti su sistemi viventi quali microrganismi o cellule animali e che presentano numerosi aspetti di eterogeneità legati alla cellula ospite.
Va considerato che tutte le caratteristiche espresse nei farmaci biologici e biotecnologici sono presenti anche in quelli biosimilari rendendoli simili ma non identici al medicinale di riferimento per il quale è scaduto il brevetto.
In un documento pubblicato nel 2012 l’EMA (Agenzia Europea dei Medicinali), ha definito il farmaco biosimilare un medicinale sviluppato in maniera simile al prodotto di riferimento che differisce dal farmaco equivalente poiché ha strutture chimiche più semplici e non è identico al farmaco originatore.
Le differenze rilevanti nei biosimilari sono principalmente dovute alla complessa natura e alle tecniche di produzione utilizzate poiché sono ottenuti con modalità differenti garantendo, quindi, una similarità in termini di qualità, sicurezza ed efficacia.
Perchè vengono sviluppati i biosimilari?
Alla base dello sviluppo dei biosimilari c’è la stessa idea per cui sono prodotti i farmaci generici: fornire un risparmio economico al paziente quando scade il brevetto.
Quest’ultimo, infatti, dà diritto a 20 anni di esclusiva per la commercializzazione di un nuovo biologico. Questo perché sviluppare un farmaco di questo tipo costa centinaia di milioni di euro e circa dieci anni di studi.
Da qui la tutela brevettuale, che permette all’azienda scopritrice di rientrare economicamente degli investimenti effettuati per la ricerca.
Dopo 20 anni, in genere si presume che i costi sostenuti siano stati ammortizzati; di conseguenza, tutte le conoscenze relative al farmaco diventano di pubblico dominio, permettendo ad altri produttori – che non hanno sostenuto i costi di ricerca iniziali – di produrre a costi inferiori farmaci “biosimilari”.
I farmaci biosimilari sono quindi sviluppati per costituire un’alternativa più economica rispetto ai farmaci di origine biologica garantendo al paziente un trattamento innovativo, economico, sicuro ed efficace.