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Q&A: lampade abbronzanti

Maggio. Il mese delle rose. E il mese della prevenzione del melanoma, una tra le patologie maggiormente trascurate, ma negli ultimi anni, purtroppo, sempre più diagnosticate.  

Quale miglior occasione, dunque, per parlare di lampade abbronzanti e dei rischi per la pelle che queste comportano?

Vi propongo un “Botta e risposta” con le domande più frequenti sulla questione.

Le lampade abbronzanti preparano la pelle al sole?

Purtroppo no: le lampade abbronzanti sono considerate cancerogeni di primo grado. Chi lo dice? Lo afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Che cosa significa cancerogeno di primo grado? 

Per cancerogeno di primo grado si intende che l’oggetto in questione è sicuramente cancerogeno. In altre parole? Ha certamente un ruolo nella comparsa del tumore. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stilato un elenco di fattori che possono o meno essere cancerogeni, che è sicuro siano cancerogeni o, ancora, che è probabile siano cancerogeni. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità le lampade abbronzanti sono indubbiamente cancerogene. Un altro esempio di cancerogeno di primo grado? Le sigarette.  Detta così probabilmente fa più effetto: lampade abbronzanti e sigarette fanno parte dello stesso gruppo per quanto riguarda la cancerogenicità. Entrambe hanno, dunque, indiscutibilmente un ruolo nella comparsa del tumore.

Le lampade abbronzanti sono più sicure del sole?

Negativo. Le lampade abbronzanti causano gli stessi danni dell’esposizione solare. Anzi, le lampade emettono prevalentemente radiazioni di tipo UVA: sono proprio quest’ultime quelle che penetrano più in profondità nella pelle, spingendosi addirittura fino al derma, e che sono responsabili dei danni a lungo termine.

Determinano, dunque, un danno che non è visibile nell’immediato, ma che mostrerà i suoi risultati in senso negativo anche dopo anni.

Cosa dicono gli studi?

Gli studi scientifici hanno dimostrato che sottoporsi anche ad una sola lampada abbronzante nella vita aumenta la probabilità di sviluppare un tumore della pelle del 20%. Chi invece ha l’abitudine di sottoporsi assiduamente a lampade, ad esempio durante l’inverno, ha il 75% in più di probabilità di andare incontro ad una diagnosi di melanoma. 

Ogni seduta di lettino solare aumenta, infatti, del 2% la probabilità di sviluppare il tumore sopracitato. Proprio per questa ragione, la Scientific Committee on Health della Comunità Europea ha decretato che non esiste un numero minimo di lampade abbronzanti, tali per cui queste possano essere definite sicure: sono pericolose fin dal primo momento.

Quando si parla di tanning addiction?

Per tanning addiction si fa riferimento alla dipendenza da abbronzatura che, esattamente come tutte le dipendenze, è una malattia. Non si tratta, purtroppo, di un problema poco frequente: la tanning addiction colpisce, infatti, il 18% dei giovani che si sottopongono alle lampade solari. 

Tale dipendenza, inoltre, spesso si associa ad un’altra problematica: la dismorfofobia. In che cosa consiste quest’ultima? Nell’elevazione di un problema all’ennesima potenza: la dismorfofobia è, infatti, una patologia nella quale si ha un’alterata percezione della propria immagine. Il soggetto in questione soffre, dunque, moltissimo di un qualcosa che spesso non è totalmente reale. Un esempio pratico? Quando notiamo una macchia, un’imperfezione sul viso, una ruga che non ci fa sentire a nostro agio, il nostro occhio cade sempre lì; la mostriamo ad un amico e quest’ultimo quasi non se ne accorge. Ecco: la stessa cosa può verificarsi quando un individuo tende a non vedersi bene allo specchio, senza quella carnagione dorata che solo la tintarella sa regalare.

Un altro falso mito sulle lampade abbronzanti?

L’errata convinzione che sottoporsi a lampade durante il periodo invernale consenta di produrre vitamina D in maniera naturale, senza la necessità di assumere integratori. A livello della pelle, la vitamina D viene prodotta se riceviamo raggi UVB di lunghezza d’onda attorno ai 300nm. Le lampade abbronzanti emettono prevalentemente UVA e UVB di altre lunghezze d’onda: non forniscono, quindi, la lunghezza d’onda necessaria per la sintesi di vitamina D. In definitiva, le lampade solari non servono per permetterci di produrre vitamina D in inverno.

E in caso di psoriasi /dermatite, è utile ricorrere all’abbronzatura artificiale?

Dato che patologie quali psoriasi e dermatite traggono spesso giovamento dall’esposizione al sole nella stagione estiva, alcuni soggetti che ne soffrono hanno, a volte, l’errata convinzione che sottoporsi alle lampade abbronzanti in inverno possa consentire loro di non assumere farmaci. La fototerapia, tuttavia, non consiste nel sottoporsi a lampade abbronzanti; si tratta, invece, di una terapia e, come tale, va controllata in ambiente medico. 

È opportuno precisare che esistono diversi tipi di lampade. I lettini abbronzanti presi in esame in questo articolo sono quelli impiegati nei centri estetici e nei centri abbronzatura: si tratta, quindi, di lampade che hanno una prevalenza di raggi di tipo UVA. Al contrario, per curare patologie quali psoriasi, dermatiti, linfomi cutanei e vitiligine serve una particolare lunghezza d’onda che è sempre nell’ordine degli UVB. Dal momento che gli UVB sono cancerogeni, esistono delle lampade particolari che permettono di dosare il quantitativo di raggi ed emettono solo ed esclusivamente UVB a quella specifica lunghezza d’onda, necessaria per curare quella determinata patologia; non emettono tutti i raggi UVB possibili: ragion per cui, si parla di UVB “a banda stretta”. 

Il tutto deve essere seguito da un medico specializzato in fototerapia. Dov’è possibile trovare questa tipologia di lampade? In cliniche dermatologiche. In alternativa? Possono essere acquistate presso centri specializzati, previa prescrizione medica.

La domanda delle domande: se vado a fare una lampada ma mi metto la protezione solare, sono più protetto?

Vi propongo delle considerazioni.

Come faccio ad essere sicuro di aver messo la dose giusta di prodotto solare e cioè 2 mg/cm2? Potrei essermi spalmato una crema solare con SPF 50, ma non averla messa sufficientemente bene; in questo caso, probabilmente, adotterei un atteggiamento un po’ più superficiale nell’espormi ai raggi e raggiungerei un assorbimento della radiazione maggiore, senza essermi protetto in maniera adeguata. La conseguenza? Sarei più a rischio di prima.  Tale ragionamento vale anche per l’esposizione alla luce naturale.

Se proprio devo usare una protezione solare per andarmi a fare una lampada abbronzante, come la scelgo? È bene optare per un prodotto che garantisca una protezione ad ampio spettro e che mi protegga, quindi, sia dai raggi UVB, che dagli UVA. 

Come riesco a valutare se il mio prodotto solare è ad ampio spettro? Il valore SPF è relativo alla protezione di quella specifica crema contro i raggi UVB; per essere sicuri che il prodotto fornisca anche una protezione UVA, questo deve presentare sulla confezione un simbolo ben preciso: il nome UVA cerchiato. Se c’è questo simbolo, significa che il valore di protezione di quella specifica crema contro gli UVA è circa un terzo del valore di protezione dichiarato per gli UVB. In altre parole? È circa un terzo dell’SPF.

Va bene, dunque, spalmarsi una qualsiasi crema solare prima di farsi una lampada? Sicuramente no.

Qual è, inoltre, la finalità del lettino abbronzante? Far abbronzare il soggetto nel giro di 10-20 minuti, tanto quanto quest’ultimo si abbronzerebbe esponendosi al sole per l’intera giornata. È evidente che la potenza dei raggi che raggiungono la pelle sia concentrata in un lasso di tempo davvero breve: chi si fa lampade assorbe, pertanto, circa 12 volte il quantitativo di raggi UVA che assorbirebbe con la sola luce naturale. 

Per di più, se la crema solare viene testata in laboratorio con un macchinario che simula il sole, ne consegue che quel prodotto è testato sul sole…non sulla lampada!

Per concludere

Non è possibile definire un valore soglia di radiazioni UV, al di sotto del quale il rischio di comparsa di un tumore della pelle sia nullo. E non esiste nemmeno un livello di esposizione alle apparecchiature che emettono radiazioni UV che possa essere considerato sicuro.

La domanda sorge, quindi, spontanea: il rischio che l’abbronzatura artificiale comporta, vale davvero il beneficio?

FONTI

www.myskin.it

www.airc.it 

Dott.ssa Elena Pascucci

Laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche. Master di II livello in Scienza e tecnologia cosmetiche. Si occupa della stesura di articoli di dermocosmesi.

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