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Occhio ai “senza”: cosmetici “senza conservanti”

Senza: termine ormai quasi fin troppo ricorrente quando si parla di cosmetici. Quasi abusato. Negli ultimi anni, si tende maggiormente a vantare ciò che un prodotto cosmetico non contiene, piuttosto che ad evidenziare gli ingredienti effettivamente presenti all’interno della formulazione. Basta prendere in mano una qualsiasi confezione ed eccolo lì quel claim che salta subito all’occhio: “senza conservanti”. 

Ma è davvero possibile formulare cosmetici senza conservanti?

Procediamo con ordine.

Che cosa sono i conservanti? 

L’articolo 2 del Regolamento CE n1223/2009 sui prodotti cosmetici definisce i conservanti come quelle “sostanze destinate esclusivamente o prevalentemente ad inibire lo sviluppo di microrganismi nel prodotto cosmetico”.

La loro funzione è, infatti, quella di preservare il cosmetico dall’inquinamento microbico e, di conseguenza, garantirne la sicurezza microbiologica.

Per quanto tempo? Per tutto il ciclo di vita del prodotto: dalla fabbricazione, al riempimento, al trasporto, ma soprattutto dopo l’apertura e l’utilizzo da parte del consumatore.

Quasi tutti i prodotti cosmetici, soprattutto quelli a base acquosa, infatti, rappresentano ottimi substrati per la crescita di microrganismi. Così, una volta aperta la confezione, il rischio di una contaminazione microbiologica è reale.

Cosa succede quando si utilizza un cosmetico?

Il prodotto cosmetico in questione viene aperto ed il consumatore comincia ad usarlo come indicato sulla confezione; magari lo utilizzerà quotidianamente, fino a terminarlo; magari no: lo dimenticherà sul comodino, per acquistarne un altro che soddisfi meglio le proprie esigenze del periodo.

In ogni caso, dal momento in cui il prodotto cosmetico viene aperto, una continua e variabile contaminazione microbica è introdotta al suo interno.

Da che cosa è provocata la contaminazione microbica durante l’utilizzo del prodotto da parte del consumatore?

  • Dalla salubrità dell’ambiente in cui si trova il cosmetico;
  • Dal fatto che verrà più volte a contatto con la pelle del consumatore: basti pensare, ad esempio, a quante volte introduciamo le dita nel vasetto per prelevare la nostra crema viso di fiducia. Ecco: le nostre dita potrebbero determinare quella contaminazione microbica che l’impiego del conservante nella formula consente di inibire;
  • Dalla tipologia di packaging: dall’esempio sopra descritto, infatti, si evince quanto un cosmetico da vaso sia per forza di cose più soggetto a contaminazione microbica rispetto ad un prodotto in airless. 

E durante la produzione in azienda?

La produzione in azienda prevede diverse fasi potenzialmente “critiche” dal punto di vista microbiologico: le materie prime (compresa l’acqua impiegata) e l’ambiente di lavorazione (aria, superfici, macchinari) rappresentano, infatti, potenziali fonti di contaminazione per il prodotto. 

Come tentare di ridurre al minimo tali criticità? Applicando le Good Manifacturing Practice (GMP) o Norme di Buona Fabbricazione: si tratta di tutta una serie di norme nelle quali sono descritti dettagliatamente i metodi, le attrezzature, i mezzi e la gestione di produzione, conservazione e spedizione dei prodotti cosmetici. Il fine ultimo? Assicurare degli standard qualitativi appropriati del prodotto e garantire la sicurezza del consumatore.

Che cosa dice la legge in merito alla qualità microbiologica del prodotto finito?

Le linee guida redatte dal Comitato Scientifico per la Sicurezza dei Consumatori (SCCS), nella loro 9a versione, distinguono i cosmetici in:

  • Prodotti di categoria 1: si tratta di cosmetici specificatamente formulati per bambini di età inferiore ai 3 anni, per essere usati nell’area perioculare e sulle membrane mucose;
  • Prodotti di categoria 2: quali sono? Semplice: tutti gli altri.

Generalmente, per i cosmetici di categoria 1, il totale della conta dei microrganismi mesofili aerobi non deve eccedere le 102 cfu/g o 102 cfu/ml di prodotto cosmetico finito.

Per i cosmetici di categoria 2, invece, il totale della conta dei microrganismi mesofili aerobi non deve eccedere le 103 cfu/g o 103 cfu/ml di prodotto cosmetico finito.

Che cosa si intende per microrganismi mesofili aerobi? Sono quei microrganismi capaci di raggiungere lo sviluppo ottimale a temperature comprese tra i 20°C e i 40°C, in presenza di ossigeno.

E per cosa sta cfu? Per unità formanti colonia: è proprio questa l’unità di misura usata in microbiologia per stimare il numero di batteri vitali o cellule fungine in un campione. Il conteggio con unità formanti colonie richiede la coltura dei microrganismi e conta solo le cellule vitali, a differenza dell’esame al microscopio che conta tutte le cellule (vive e morte).

È possibile, dunque, formulare cosmetici senza conservanti?

Quantomeno da un punto di vista microbiologico, è piuttosto difficile pensare di formulare un prodotto cosmetico senza aggiungere alcuna sostanza con funzione conservante. 

Come in ogni questione di interesse scientifico che si rispetti, ci sono dei cosmetici che fanno eccezione. Quali?

  • I prodotti monodose;
  • I prodotti a basso rischio, ossia quelli con un basso tenore di acqua libera. Qualche esempio? Polveri, oli e prodotti alcolici. 
E allora? Com’è possibile trovare così tanti cosmetici “senza conservanti”?

Nell’Allegato V del Regolamento CE n1223/2009 sono riportati i conservanti autorizzati nei prodotti cosmetici: è proprio lì che vengono elencati, infatti, tutti quei conservanti che possono essere impiegati nella formulazione di un cosmetico, le concentrazioni massime da rispettare ed eventuali limitazioni d’uso. 

Vi sono, tuttavia, alcuni ingredienti che, pur non rientrando nell’allegato V, presentano capacità antimicrobiche effettive ed accertate: per tale motivo, sono noti come “conservanti non conservanti”.

Dal momento che non figurano in Allegato V pur esercitando un’azione conservante, tali sostanze non sono soggette alle restrizioni a cui sono invece sottoposti i conservanti veri e propri (che rientrano nell’Allegato V). In parole semplici? I “conservanti non conservanti” non devono rispettare le condizioni che stabiliscono:

  • La tipologia di prodotto e le parti del corpo;
  • La concentrazione massima nei preparati pronti all’uso;
  • Eventuali altre indicazioni.
Che vantaggio offrono i “conservanti non conservanti”?

Ecco svelato il mistero: permettono di utilizzare in etichetta il claim “preservative free”. Questa dicitura non è del tutto veritiera in quanto il cosmetico in questione, in realtà, contiene ingredienti ad azione antimicrobica.  Per quale motivo, allora, tale claim è consentito per legge? Repetita iuvant: perché tali sostanze non rientrano nell’Allegato V del Regolamento CE n1223/2009.

C’è dell’altro? Risposta affermativa. Attualmente tali sostanze sono sempre più impiegate nei cosmetici, anche in associazione ai conservanti classici, al fine di ridurre il dosaggio di questi ultimi all’interno del prodotto.

Qualche esempio di “conservante non conservante”? Il Phenethyl alcohol, l’ethylhexylglycerine, gli oli essenziali.

Per concludere

Spesso sono proprio i comportamenti impropri dei consumatori a causare problematiche di tipo biologico. Vi propongo una carrellata di domande:

  • Dimenticate di richiudere sempre bene i cosmetici dopo l’utilizzo? 
  • Aggiungete l’acqua ai detergenti per diluirli e, di conseguenza, farli durare di più? 
  • Vi è mai capitato di prendere un prodotto dal vasetto con le mani sporche?
  • Avete mai rimesso nel contenitore parte del prodotto da utilizzare, dopo esservi accorti di averne prelevata una quantità eccessiva? 

A quante di queste domande avete risposto in maniera affermativa? Poche, vero? Perché quelli sarebbero tutti comportamenti che andrebbero evitati al fine di ridurre al minimo il rischio di contaminazione microbica del prodotto. Ed è anche per tali motivi che, nella fase di progettazione di un cosmetico, vengono eseguiti vari test. L’obiettivo? Verificare la stabilità del prodotto quando sottoposto a differenti stress, comprese le contaminazioni microbiologiche durante l’uso. I più diffusi sono:

  • Challenge Test: prevede una contaminazione artificiale del cosmetico con ceppi microbici in quantità nota ed una valutazione della loro decrescita nel tempo;
  • In Use Test: simula l’utilizzo reale del prodotto da parte di un pool di consumatori per un certo periodo di tempo e ne valuta la condizione microbiologica al tempo zero e al termine della simulazione.

Quanto è importante, quindi, conservare il prodotto cosmetico?

Risponderei con una domanda retorica: quanto è importante la sicurezza del consumatore?

FONTI

Cosmetic Technology 3-2019

Dott.ssa Elena Pascucci

Laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche. Master di II livello in Scienza e tecnologia cosmetiche. Si occupa della stesura di articoli di dermocosmesi.

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