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Hikikomori: la volontaria reclusione dei ragazzi dal mondo esterno

La parola hikikomori deriva dai verbi giapponesi hiku (tirare indietro, spingere) e komoru (fuggire, ritirarsi) e significa letteralmente “stare in disparte”. Si riferisce in particolare a persone che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, che vanno da alcuni mesi a diversi anni.

Si sente parlare di Hikikomori per la prima volta negli anni ’80 in Giappone, dove con questo termine si indicano sia il fenomeno sociale sia coloro che appartengono a questo gruppo ed ha iniziato a diffondersi negli ultimi anni anche in Europa e in Italia, tanto che esistono siti e pagine Instagram dedicate.

I più colpiti sono i ragazzi tra i 14 e i 30 anni e il disturbo si manifesta come un vero e proprio ritiro sociale, un’auto-esclusione volontaria dal mondo esterno e da ogni forma di relazione, anche dai familiari.

Gli hikikomori, infatti, vivono la loro vita quasi esclusivamente all’interno della loro stanza e hanno forti difficoltà di adattamento al contesto sociale, che si presentano primariamente a scuola. Non si parla infatti di depressione o di fobia sociale (per quanto a volte erroneamente i fenomeni siano associati) ma di un disagio adattivo causato dalla difficoltà di trarre beneficio e sensazioni positive dalle relazioni interpersonali. Mancando quasi totalmente il confronto con gli altri e con la realtà, il fenomeno tende a cristallizzarsi e cronicizzarsi nel tempo, rendendo sempre più difficile per gli hikikomori trovare motivazioni e spinte valide per affrontare il problema. Perso l’interesse e la fiducia nelle relazioni, i ragazzi iniziano a mettere in discussione anche le tappe basilari della vita, come ad esempio la scuola: non a caso l’assenteismo scolastico è uno dei primi campanelli d’allarme insieme al modo negativo con cui l’ambiente scolastico stesso viene vissuto.

Sarebbe errato quindi definire gli hikikomori degli “isolati sociali”, per quanto l’isolamento sia alla base di questo disturbo e tra le varie definizioni la più completa indica l’hikikomori come “una pulsione all’isolamento fisico continuativa nel tempo, che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente sviluppate” (M.Crepaldi, Hikikomori. I giovani che non escono di casa). Non si tratta quindi di momenti della vita limitati nel tempo, ma di situazioni che si protraggono per anni e che potrebbero potenzialmente durare tutta la vita. Le statistiche al riguardo puntano molto l’attenzione sul fatto che i ragazzi più colpiti sono spesso di estrazione sociale medio-alta e sentono fortemente la pressione della realizzazione sociale. Il fenomeno infatti trova le sue radici in Giappone, dove il tasso di disoccupazione giovanile si aggira intorno al solo 3% e la competitività sociale è particolarmente forte. L’isolamento in questo caso è una sorta di protezione da un contesto sociale che non si riesce a gestire soprattutto dal punto di vista emotivo/psicologico.

Spesso infatti i ragazzi hikikomori soffrono di disturbi d’ansia e dell’umore, per quanto va ribadito che l’isolamento non è innescato da queste cause che però possono poi presentarsi e manifestarsi nel corso del tempo.

L’isolamento di questi ragazzi, per essere definito hikikomori, si manifesta con le seguenti modalità:

  • stile di vita centrato all’interno delle mura domestiche, senza alcuna volontà di accesso o ricerca di contesti esterni;
  • totale mancanza di interesse verso le attività di base come la scuola e il lavoro;
  • persistenza del ritiro sociale di almeno sei mesi;
  • mancanza di qualsiasi relazione con compagni di classe, colleghi di lavoro e spesso anche familiari.

Tra le varie cause alla base del fenomeno le principali sono:

  • caratteriali: gli hikikomori sono ragazzi molto sensibili e spesso introversi ed inibiti socialmente, instaurano difficilmente relazioni durature e hanno difficoltà ad affrontare le delusioni;
  • familiari: l’isolamento non si manifesta solo in relazione all’ambiente esterno ma anche ai genitori e ai familiari più stretti. Parlando di hikikomori spesso si leggono studi sulle eccessive pressioni psicologiche esercitate dai genitori sui figli, o di uno stile genitoriale troppo protettivo che genera interdipendenza, aspetti che ovviamente vanno però valutati da professionisti e non generalizzati;
  • scolastiche: spesso alle spalle di questo disturbo si celano storie di bullismo oltre che di difficoltà di inserimento nel contesto scolastico;
  • sociali: gli hikikomori tendono a sviluppare una visione molto negativa della società e della realtà che li circonda che, come detto, deriva anche dal confronto praticamente assente con altre persone e contesti sociali.

L’errore più frequentemente commesso ad oggi è associare il disturbo Hikikomori alla dipendenza da internet. Nascendo nel Giappone degli anni ’80 il fenomeno è in realtà  slegato dalle nuove tecnologie: i primi hikikomori vivevano reclusi nelle loro stanze leggendo libri e guardando la televisione. È possibile che rapportato al presente l’avvento di Internet ne abbia sì velocizzato la diffusione, ma da una parte l’abbia limitato: il web è spesso un mondo in cui, per quanto in modo non convenzionale, si creano delle relazioni. Per gli hikikomori questa è in ogni caso una finestra aperta sul mondo esterno che rende il loro isolamento meno estremo.

Nonostante non esista ancora un ufficiale riconoscimento dell’hikikomori tale da farlo rientrare nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), per il Ministero della Salute giapponese le caratteristiche sono quelle citate ed esistono test specifici per individuare il disturbo e favorirne la diagnosi. In particolare, è fondamentale la diagnosi differenziale per identificare il vero problema rispetto ad altri con caratteristiche simili, come ad esempio depressione, disturbi d’ansia, dipendenze da gioco.

In Italia ad oggi, dove il fenomeno ancora non è particolarmente conosciuto, si stimano circa 100.000 casi.

Come sempre quando si tratta di questi disturbi è fondamentale capire l’origine del problema prima di ricorrere a cure senza averne compreso la vera natura e tenere a mente, in questo specifico caso, che “l’hikikomori vuole vivere, solo non sa come” (Carla Ricci, Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione).

FONTI

M.Crepaldi, Hikikomori. I giovani che non escono di casa. Alpes Ed, 2019

C.Ricci, Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione. Franco Angeli Ed, 2021

Dott.ssa Rita Bernardi

Farmacista di professione, ma con una profonda passione per la divulgazione scientifica.

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