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ATEZOLIZUMAB E BEVACIZUMAB: BUONI RISULTATI CONTRO L’EPATOCARCINOMA

Il carcinoma epatocellulare è un tumore piuttosto comune in tutto il mondo (incidenza del 4.7%) e una delle principali cause di morte correlata al cancro.

Sebbene la malattia in fase iniziale possa essere curabile mediante resezione, trapianto di fegato o ablazione, la maggior parte dei pazienti presenta all’esordio una malattia non resecabile con una prognosi sfavorevole.

Opzioni terapeutiche

Al momento, secondo le Linee Guida dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM), le terapie disponibili per questo stadio della malattia fanno capo a piccole molecole che fungono da inibitori chinasici multitarget (es. Sorafenib, Lenvatinib, Regorafenib), piccole molecole che presentano anche attività anti-angiogenica (es. Cabozantinib) e un anticorpo monoclonale, il Ramucirumab, diretto contro il recettore per il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (anti-VEGFR).

Prospettive: lo studio IMbrave150

Al fine di aumentare le alternative terapeutiche e di evitare alcuni importanti effetti collaterali relativi agli inibitori chinasici multitarget, lo studio di fase III IMbrave150 ha vagliato l’efficacia dell’associazione tra i farmaci Atezolizumab e Bevacizumab.

Questa associazione punta ad attaccare il tumore su due fronti: mantenendo attiva la sorveglianza del sistema immunitario contro le cellule cancerogene e impedendo al tumore di creare un microambiente ideale per la sua crescita.

I farmaci

Atezolizumab è un anticorpo monoclonale diretto contro il ligando L1 (presente sulle cellule tumorali) del recettore PD-1 (Programmed Death-1, presente sui linfociti T): legandosi a L1 ne impedisce l’interazione con i recettori PD-1. La diretta conseguenza è lo sblocco dell’inibizione della risposta immunitaria mediata dall’interazione L1/PD-1: si ha così la riattivazione della risposta immunitaria antitumorale.

Bevacizumab, anticorpo monoclonale, legandosi al fattore di crescita delle cellule endoteliali vascolari (VEGF), promotore della vasculogenesi e dell’angiogenesi, impedisce a quest’ultimo di legarsi ai suoi recettori (VEGFR-1 e VEGFR-2) sulla superficie delle cellule endoteliali. Il blocco dell’attività biologica del VEGF fa regredire la vascolarizzazione dei tumori, normalizza la vascolarizzazione tumorale residua, e inibisce la formazione di nuova vascolarizzazione, impedendo perciò la crescita tumorale.

Anticorpo monoclonale

Come è strutturato lo studio?

Lo studio IMbrave150 (sponsorizzato da F. Hoffmann–La Roche/Genentech) è uno studio di fase III che ha preso in esame la popolazione dei pazienti affetti da carcinoma epatocellulare localmente avanzato e/o non resecabile che non avevano ancora ricevuto alcun tipo di terapia.

In questo contesto i pazienti sono stati suddivisi in due gruppi (detti bracci):

  • Il primo gruppo (gruppo sperimentale) è stato trattato con l’associazione di Atezolizumab e Bevacizumab;
  • Il secondo gruppo (gruppo di controllo) è stato, invece, trattato con Sorafenib (Standard of Care).

Sono state, quindi, valutate la risposta, la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza complessiva di entrambi i gruppi.

La popolazione che ha preso parte allo studio comprende pazienti:

  • Di età ≥ 18 anni;
  • Con carcinoma epatocellulare confermato da diagnosi istologica o citologica;
  • Che non avesse precedentemente usufruito di alcuna terapia antitumorale;
  • Con un ECOG PS di 0 o 1 (Eastern Cooperative Oncology Group performance-status score: una scala che definisce lo stato fisico di un paziente).
  • Lesioni tumorali misurabili e valutabili secondo i criteri RECIST 1.1 (Response Evaluation Criteria in Solid Tumors, version 1.1);
  • Una classificazione A sulla scala della funzionalità epatica Child-Pugh (una scala a tre categorie [A, B o C], con C che indica la compromissione più grave della funzionalità epatica).

Risultati

Mettendo a confronto i dati ottenuti dai due gruppi di pazienti, si evince che la sopravvivenza complessiva a 12 mesi è stata del 67,2% con atezolizumab – bevacizumab e del 54,6% con sorafenib.

La sopravvivenza mediana senza progressione è stata di 6,8 mesi e 4,3 mesi nei rispettivi gruppi.

Eventi avversi di grado 3 o 4 si sono verificati nel 56,5% di 329 pazienti che hanno ricevuto almeno una dose di atezolizumab – bevacizumab e nel 55,1% di 156 pazienti che hanno ricevuto almeno una dose di sorafenib.

Conclusioni

Ciò che si deduce dai dati ottenuti dal trial è che nei pazienti con carcinoma epatocellulare non resecabile, atezolizumab in combinazione con bevacizumab ha prodotto migliori risultati in termini di sopravvivenza globale e senza progressione rispetto allo Standard of Care.

Questo apre le porte a una nuova possibile terapia contro questa forma di tumore del fegato.

 

FONTI

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1915745

https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2019/10/2019_LG_AIOM_Epatocarcinoma.pdf

https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_004768_045590_RCP.pdf&retry=0&sys=m0b1l3 (Atezolizumab – RCP)

https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_000796_036680_RCP.pdf&retry=0&sys=m0b1l3 (Bevacizumab – RCP)

Dott.ssa Laura Idotta

Laureata in Farmacia. Study Coordinator in Oncologia presso l’Ospedale Niguarda

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